I see a darkness

 

Sulla destra vostra Trollina ottenebrata, che vela la sua luce, eppure ancora risplende. Sotto a sinistra, in centro, in basso a destra, sempre Lei, sprofondata e scalfita in ritirata, eppure duttile e trattabile.
Le foto sono, si sa, lo specchio dell’anima, ma la più intima coscienza non è ravvisabile all’esterno
 

 
 
 

                           

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
But could you see it’s opposition comes arising up sometimes

That it’s dreadful antiposition comes blacking in my mind

 

 
 
 
 
 
 
Well, you’re my friend, that’s what you told me
And can you see what’s inside of me
Many times we’ve been out drinking
And many times we’ve shared our thoughts
But did you ever, ever notice, the kind of thoughts I got
 
 
 

Well you know I have a love, a love for everyone I know
 And you know I have a drive to live I won’t let go
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Dal barbiere

Che noia Agosto al paesello, è peggio di un mese invernale. Affiumare non si può mica affiumare tutti i giorni, poi tanto l’altro giorno il tempo non era bello, c’era aria da sollevazione di venti e tempi impetuosi nel grande albo del cielo, e anche mia sorella Polonia non sapeva cosa fare. Lei passa le giornate in giardino sullo sdraio, ma quando non c’è il sole si noia, è un’anima in pena e le sue notti non le dorme più.
"Senti Albertina (Polonia mi chiama cosi, vabbè..), perché, in tempo di luna piena e a ore comode non andiamo dal nemico del genere umano, il parrucchiere? Ci facciamo il colore, offro io".
"Perché no, non ha argenti di stelle questo scialbo pomeriggio, e poi, soprattutto se offri te" rispondo io.

Il parrucchiere è un ragazzetto che ha aperto il negozio da poco, amico di mia figlia e mia figlia gli ha fatto pure da segretaria prendi appuntamenti un paio di settimane fa, per tirarsi su qualche lira quando, dopo l’inaugurazione, il negozio era invaso da gente curiosa che si andava ad acconciare. E ora mia figlia, la stronzetta si trova in quel di Amsterdam, con fidanzatino e amici e baaaafanculo…gelosa sono.
Mia sorella telefona per l’appuntamento. "Siamo bla bla bla, la mamma di…"Ah si si, ho posti liberi, vi dispiace venire per le 17 che prima ho un lavoro lungo?" No, che non ci dispiace, ci abbiamo un tubo da fare tanto.

Arriviamo in negozio. Il "lavoro lungo" è una biondona figona. "E’ la moglie di un calciatore di proprietà della Juve, che ora pero’ gioca a Venezia", mi dice all’orecchio il fratello del parrucchiere, che è li a prendere appuntamenti al posto di mia figlia e a lavare teste. La biondona è piena di carta d’alluminio in testa e legge una rivista. Tocca a noi. Gli spiego che vorrei qualche ciocca, non troppe, ma non troppo poche, non meches che non mi piacciono, ma proprio ciocche abbastanza grandi color rosso fuoco riflesso di sogni nei miei capelli. Lui mi guarda i capelli e mi dice che prima c’è da farci un lavorone di copritura perchè sono ovvibili.
"Come sarebbe che sono orribili?"
"C’hai duemilacolovi in testa e poi le punte..che sfibvate, che denutvite, che maltenute..che impovevite, che trascuvate, abbandonate..I capelli si dovrebbevo spuntave leggevmente un paio di volte al mese e cuvave cuvave cuvave.."

"Ci manca ancora che dici che sfigate e hai fatto bingo," sentenzio io, irritatella "ma voglio dirti la verità dal lato brutto a cui non si rimedia, dove manifestamente si comprova il corpo dei diversi delitti per essere stati commessi: tu non capisci..a Manchester mi sono colorata da sola le punte di rosso, con un prodotto chimico da due pound, poi col mare di Barcellona, sai il sale, il sole, la salsedine, la sabbia ecco sono diventate arancio, gialle, marroncino, ma a me non paiono male..e poi commetto alcuni mancamenti tipo che non mi taglio mai le punte e uso il balsamo e lo shampoo dei supermercati e mai un impacco" Lui è schifato, quasi si contorce delle violenze da me confessate, ma mi sostiene, mi tollera, mi coccola, mi manipola, come si fa con le clienti isteriche.."Si, cava leonessa, ma se ti faccio il vosso poi sai..si pevde qui in mezzo.. ti conviene pvima copvive gli altvi colovi di un colove unico, il tuo, poi fai il vosso e tutti i colovi che vuoi, ho un bellissimo violetto, se ti va, solo che è un lavoro lungo, ti ci vanno un quattrvo ove"

"Cioè uscirei di qui alle nove stasera? tu sei pazzo" Poi viste le cose che devono essere viste e considerate le cose che devono essere considerate, ci accordiamo per il primo colore di copritura e poi eventualmente per le ciocche rosse il martedi successivo. Mi colora i capelli, e poi intanto che aspetto è il turno di Polonia, stesso trattamento mio. Che noia ad aspettare. Lui intanto maneggia la biondona ed io curiosa mi siedo vicino ed inizio con le domande. "Le hai praticamente scolorito una parte di capelli con la carta alluminio? da biondo scuro sono quasi bianchi, bel contrasto. E che è quella roba che le stai mettendo?" "E’ un vicostituente eccezionale, pev il bulbo, devi mixave un sacco di prodotti, uno pev la fovfova, uno pev la caduta, uno pev lo stvess, uno pev la lucentezza, uno pev la bvillantezza"
"E quanto costa tutto questo trattamento?" chiedo
"E’ cavuccio, ma è il migliove sul mevcato. E’ mivacoloso".
Polonia osserva e ascolta in silenzio.

Vabbè finiamo il nostro trattamento, cinquanta euro il mio colore, diocan, con lo sconto perché sono la mamma di, senza farmi pagare la spuntatina che ha insistito per farmi e che io non volevo quindi me l’ha fatta gratis, si vede che gli facevano proprio pena i miei capelli cosi. Cinquanta euro per un cazzo di colore. Per fortuna pagava Polonia.

Oggi, venerdì, c’è un bel sole, ed io e Polonia siamo in giardino sugli sdrai. Io leggo, lei ascolta mp3. Ad un certo punto mi chiede seria "Quand’è che devi tornare dal parrucchiere a farti le ciocche?" "Questo martedì". "Vengo anche io, ora telefono per l’appuntamento".
Continuo a leggere intanto che lei digita il numero.
"Pronto?" "Si buongiorno, vorrei un appuntamento. Si, grazie"
Sento che sta facendo una voce diversa, nasale, costruita e mi chiedo perché.
Mi sussurra che il tipo le sta passando il fratello per gli appuntamenti.
Con voce sempre piu’ nasale e mascherata ripete "Si, vorrei un appuntamento grazie"
Vabbè, riprendo a leggere.
"Solo un’informazione, per favore. Fate anche le meches alle passerine?"
Mi cade il libro, la guardo. Sono allucinata, stupita, ci ho il riso che a poco a poco mi sta scoppiando nella pancia. Lei mi fa segno di tacere e mette il vivavoce. Dall’altro lato si sente uno "Scusi?"
"Dicevo, se fate anche le meches alle passerine, alle ciorgniette"
Si sente uno scoppio in una risata incontenibile. E lei continua imperterrita
"No, perché mi piacerebbe un violetto tutto a sfumare, fatto con quel metodo, si quello della carta d’alluminio. Poi mi piacerebbe anche quel ricostituente particolare, quello da cento euro, per il bulbo soprattutto".
Cioè, niente, io mi sto rotolando sullo sdraio, cioè io manco respiro dal ridere.
Che farci, è Agosto e siamo al paesello.

 

Polonia prima del trattamento che per l’occasione saluta Alonso

 

Il 14 aprile 1647, nel luogo designato
Davanti ai contadini obbligati ad assistere al supplizio
Vengono decapitate:
Lucia Caveden, Domenica, Isabetta e Polonia Graziadei,
Caterina Baroni, Ginevra Chemola e Valentina Andrei
I corpi sono bruciati, i resti seppelliti alle Giarre in terra maledetta.
I beni delle donne confiscati.

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Affiumare al fiume

Lui è il Pellice, dalle nostre parti "il fiume" per antonomasia. E’ il posto dove hai fatto di tutto un po’ e anche di piu’, dove ti sei fumata la prima canna, dove hai avuto la tua prima love story, dove hai incontrato il maniaco che si masturbava nudo sotto l’impermeabile, dove hai acceso il primo falo’ con gli amici e via di queste cazzate. Non è quel che si dice un gran bel fiume, è pure piccolino, ma le acque sono limpide, ci vedi i pesciolini e poi io lo amo e basta perchè per me affiumare al Pellice d’estate, autunno inverno e primavera ha fatto e fa parte della mia vita, della mia cultura provinciale. We’d go down to the river, and into the river we’d dive. Il Pellice è, purtroppo, abbastanza famoso dalle mie parti, tanto che d’estate, soprattutto nel w.e. arrivano quelli che io chiamo i "mostri". I torinesi, quelli di Torino e cintura, gli operai malpagati della Fiat, che per risparmiare, vengono a starnazzare qui con tende, lettini, salami, prosciutti e vino nero. Famiglie intere, numerosissime, zii zie, cuggine e cognate con cani Fufiri e bambini rompicoglioni con salvagenti papera, e che gnè gnè guarda papi come è bravo il tuo Salvo in acqua! " E zioffà, io, che rottura di coglioni questi, che hai voglia di voler sentire solo gli augelli cinguettar. I mostri sono una vera violenza per me. Violenza pura. Che ovviamente istiga violenza, e razzismo. Ebbene si, in questi casi son peggio dei leghisti. Odio tutti questi terroni immigrati che vengono a violentarmi il fiume e mi vien da dire, ma fatevi il bagno nei posti vostri, ma andate in piazza CLN e fatevi un tuffo nella Dora, o sulle rive dei Murazzi, no? Chi cazzo vi ha detto che esiste il Pellice? Minchia ci sono stati anni che ci arrivava pure il gelataio qui. E gente con il camper. Cazzo ma ti compri il camper per venire a Pellice? Complimenti. Ovviamente diserto Pellice il  sabato e la domenica, oppure cerco i posti piu’ sperduti che i mostri non conoscono. Loro conoscono solo qualcosa del mio fiume, la "spiaggia" per esempio, che noi autoctoni per osmosi abbiamo ribattezzato Rimini. 

Lui è F., pensionato. Lo conosco da anni, perché da anni ogni giorno viene al Pellice. E’ della cintura torinese, ma non lo considero più un mostro. Oramai abbiamo legato. ll posto nella foto è uno di quelli sperduti, poco conosciuti. Mi ci ha portata l’altro giorno. Mi ha detto che era un posto particolare, di nudisti. Lui ama il nudismo, solo che i mostri, oltre a violentare il fiume e me, rompono pure i coglioni e capita spesso che se lui si leva il costume nei posti conosciuti arrivi qualche scorfano/a che gli urla "O ti rivesti o chiamo il 113". E lui risponde "Spia", ma poi si riveste, per forza di cose. Quindi per evitare gli scorfani oramai conosce tutti i posti più imboscati. Arriviamo nella spiaggia nudista. Solo uomini, tranne una coppia sulla cinquantina. Sono sposati, mi precisa F. Io sono l’unica ad indossare il costume, non lo so, stare nuda è una sensazione che non mi piace. F. conosce tutti e tutti lo salutano. E lui inizia con i gossip. "Lo vedi questo?" "Si, lo vedo". "Beh..lui sta tutto il giorno ad aspettare le coppie" "Per fare che?" "Per spiarle" "Come sarebbe a dire spiarle?" "Si, aspetta che questi inizino a..insomma dai hai capito, no?" "No, scusa, ma non ho capito" "Beh, aspetta che le coppie inizino..giochi erotici, si nasconde nei cespugli e li guarda". "Giochi erotici? ma ci sono coppie che li fanno qu?" "Non sai quante. Molte non sanno di essere osservate, invece altre vengono qui apposta per farsi spiare mentre fanno sesso". Zioffa, che mondo sommerso il mio fiume, penso. "E lui dietro ai cespugli che fa?" "Ma che vuoi che faccia? si spara un pippotto, no?"  "Ebe, che scema che sono, vero". Arriva un tipo, sulla cinquantina grassoccio solo con mutandine e calzini, stende l’asciugamano a pochi metri da noi e si spoglia. "Guardalo bene" mi dice F. "quelli che hanno il segno della mutanda, quelli che hanno il culo bianco, non sono nudisti..vengono qui nelle pause del lavoro per.." "Per?" "Eh..insomma hai capito, no". No che non ho capito, ma sto zitta. Il tipo dal culo bianco intanto mi guarda insistentemente, tanto da infastidirmi. Mi sposto dietro F. in modo che non riesca piu’ a vedermi. Poi lo vedo alzarsi e sedersi, ignudo all’ombra di qualche pianta e vedo che traffica un attimo..lì.. dalle parti del suo pistolotto. Vabbè, mi dico, tutti gli uomini si tirano e grattano il pistolotto, che sarà mai, avrà diritto di farlo pure lui. Mi alzo e mi tuffo in acqua per una nuotata. Quando torno il tipo se ne sta andando. "Hai visto?" "Cosa, di grazia?" Il tipo si è masturbato e ora se ne va". No, non ho visto, per fortuna. Già ho voglia di andarmene da questo posto, ma la mia attenzione si posa su un tipo, alto uno e quaranta credo, ignudo anche lui, con un culetto tutto pelato, da donna. "E’ una finocchia questa vero?" chiedo a F. "Si". Ci avrei giurato. Probabilmente il cane della coppia nudista sposata, che è stesa pochi metri più in là, deve essere di Forza Nuova, non gradisce le finocchie e azzanna il tipetto sul braccio. La finocchia, isterica, urla al padrone del cane che gli chieda almeno scusa. Questo non lo fa, anzi risponde con una battutaccia e allora la finocchia chiama i vigili che vengano a vedere che sta succedendo!! Coddio, in che posto sono finita. "Senti, ne ho abbastanza neh, torniamo alla spiaggia" dico. Ci avviamo. Lungo la strada incrociamo un altro adone, sulla settantina questo, ignudo pure lui, ma col culo tutto nero abbronzato. "Ciao F., ma vai via?" chiede l’adone. "Si, stiamo andando" "Che peccato, con una bella donna cosi, e state andando via, cosa ci faccio io ora qui?"  (La bella donna sarei stata io..). Vabbè questo idiota non merita risposta, penso, e proseguo per la mia strada. Poi non so per cosa, questione di energia credo, dopo pochi passi mi sento..osservata e mi volto. E’ fermo, mi sta guardando e si sta..masturbando. A questo punto non posso proprio trattenermi e dico "Ma dove cazz mi hai portata?" F. sorride "Immaginavi un movimento del genere? E’ cosi tutto l’anno qui..".No, non lo immaginavo, ragazza innocente sono io, anzi ed io che volevo pure stupirlo raccontandogli gli effetti speciali della mia serata nel lavabo a Barcellona!

 

E questa l’ho scattata più per sbaglio che per caso, sulla spiaggia di Rimini.

Il fiume riporta quello che trova, quello che riceve, rigetta, rinnova. 

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Socializzare a Barcellona

Mi trovo da un po’ di dias in quel di Barcelona, al Marichi Weu, (vabbe’ vuol dire in Mapuche Dieci volte vinceremo) e devo dire che mi piace.  Tantito. Il Marichi Weu e’ uno di quei posti dove los okupas comen carne humana, oltre a robita riciclata. Qui arriva un po’ di tutto, decine di salamiti da supermercato, angurie al limite della sopravvivenza che se le provi a tagliare scoppiano, leche al limite della scadenza e anche i Mon Cheri Ferrero, boniti boniti.

Ora io ieri notte alla una e mezza ci avevo voglia di cioccolata, prima di andare alla fiestita al Kan Kadenas. La serata comincia bene perche’ apro il frighito, dove ci trovo un sacco di Mon Cheri riciclati. Ne prendo uno e vado a sdraiarmi sdraiata sullo sdraio di fora, a guardare le stelle. Soprapensiero inizio a mangiare il cioccolatino, ma non sento il sapore del cioccolatito. Mastico mastico ma niente, mi sembra troppo riciclatito, ecco vecchio, viejo. Mastico ancora poi sputo in mano. Cazzo non lo avevo scartato. 

La fiesta al Kan Kadenas. Un postito bonito che si trova in campagna,  davanti ad un commissariato che sembra una concessionaria di auto. Los okupas raccolgono soldi per i carcerati e poi perche’ tutti devono capire che ognuno di noi e’ masculino e feminino!!!. Vabbuo’ il risultato e’ che un rumito con ananas costa tre euro e cinquanta. Ma dai, io lo faccio per la causa e  consumo. Il mio aspetto non e’ un granche’, sono ciclata, indosso la stessa canotta e gli stessi pantaloni neri da una settimana, e stasera sono pure senza mutandine e solo col tampax, che potrei pensare di essere pure alternativa in mezzo a tutto questo conformismo anticonformista, a questa ricerca ossessiva di un particolare, una diversitá che diversifichi e che alterni, ma in realta’ mi sento solo un po’ zozzona. I capelli sono sporchi di mare, stopposi da sentirli pesare un paio di chili sulla schiena. Vado al bar, chiedo un rumito e un bicchiere d’acqua. Il rumito me lo bevo, e il bicchiere di acqua me lo verso direttamente sulla testa e mi rinfresco e sciacquo un po’ de sal dai capelli. Il tutto deve avere un certo fascino perche’ mi si avvicina una tipita mooolto alternativa. Tanto da indossare solo una cravatta rossa sulle tette. Languida, mi baccaglia, sono un po’ imbarazzata e ci chiedo dove sta el lavabo. Lei me lo spiega con una descrizione sublime. Vai di qui, gira a sinistra, sulla destra ci trovi i Cagaderos mentre sulla sinistra i Meaderos. Cazzo! Al volo ci vado, e ci porto pure la mia amica che ha giusto voglia di cagare. 

Il posto e’ fantastico. Un luogo di socialitá, e li mi apro, mi fido, mi rilasso e concedo me stessa agli altri. Assisto e proteggo la cagata della mia amica. Il cartello indica: Kagaderos di qua. Si caga in uno spazio rialzato, si deve aprire un asse di legno, che copre e racchiude tutte le mierde della serata cagate in un buco dove devi piazzarci il culo per fare centro. La carta igienica usata deve essere posta a lato, in apposito contenitore per il riciclo. La mia amica caga ed intanto arrivano un po’ di okupas. Boh..mi paiono smarriti, cerco di aiutarli. Chiedo loro se sono Cagaderos o Meaderos, e a seconda della risposta ci indico la via da seguire. Eres Cagaderos? Por aqui! Eres Meaderos? Por alli! Poi il rumito fa il suo effetto e mi punge la vescica. Mi avvio, avviandomi lungo la via dei Meaderos, mi sbraco e mi inginocchio. A me per pisciare mi ci va sempre un po’ di tempito, e nel frattempo, racconto un po’ della mia esperienza antipsichiatrica a un tipo che di schiena invece schizza e urina qui e la. Poi lui se ne va, adios, e io sono sempre li che aspetto di liberarmi. Arriva una chica che si piazza di fianco a me, stessa posizione feminina. Parliamo per un dieci minuti, le racconto la mia esperienza a Manchester, mentre la mia pp fatica ad uscire. Se ne va pure lei, arrivano ancora un paio di persone, ma con loro solo silenzio, solo condivisione di urine. 

Ficata. Esco dal lavabo e incontro la tipa con cui ho urinato parlando dell’Inghilterra, che mi regala tre cent, un tappo di birra e una biglia rosa, la lesbichina con cravatta rossa che mi chiede se ho ben cacato. Poi mi piazzo estatica su una panchina pensando che la España è proprio muy bonita. Si siede un tipo vicino a me e mi fissa occhi negli occhi, pupille nelle pupille, sguardo suo fiero e diritto contro il mio fiero e diritto. Ci sfidiamo per una quindicina di minuti. Poi banalmente, vado a casa che sono le sette del mattino e io tutte ste emozioni mica le reggo. Oh.

 

 

 

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Ciao Ago

Credo di avere fuso l’hard disk e perso tutto, foto mie, di amici, di lavoro, mp3, curriculum e programmi vari, compreso photoshop, e mi vedo costretta con quello nuovo a ridimensionare, quando ci riesco, le foto sul blog e farle diventare tutte storte. Intanto per recuperare un po’ di ricordi ho chiesto ad un paio di amici sparsi, che avevano qualche foto mia se per caso potevano rispedirmela. E devo ringraziare Fantom, che ieri mi ha fatto una graditissima sorpresa.
Mi è arrivata una foto, persa pure questa in un crash anni fa e che manco ricordavo più, ma che mi ha emozionata e catapultata nei meandri dei ricordi.
E poi il 7 ottobre saranno 15 anni che lui non c’è più.

Avevo tredici anni quando vidi il primo concerto dei Nomadi. Il palco, quattro assi di legno, due luci in croce, e lui, Augusto. Una bestia da palcoscenico. Lo ricordo come fosse ora cantare "Joe Mitraglia" e urlare "quei maledetti dai manganelli neri" col pubblico rosso in delirio. La formazione era ancora quella di un tempo, quella del concerto con Guccini, con Umbi Maggi al basso, Christopher Patrick Dennis chitarra e violino e Giampaolo Lancellotti percussioni. Il pubblico, comunisti giovani e meno giovani, hippies, bellissime ragazze dai lunghi capelli biondi e vestiti a fiori. Credo che se non avessi conosciuto i Nomadi così non li avrei amati così. I loro dischi sono altra cosa, e le canzoni, diciamocelo, sono semplici e a volte anche scontatine, ma io le ho amate quasi tutte. Proprio perché per me i Nomadi erano i loro concerti dal vivo. Ma se devo ricordare i Nomadi incisi, allora vale la pena citare il magistrale "Nomadi interpretano Guccini" vecchissimo album, che mi dispiace per Guccio, ma mai ho sentito interpretazione migliore delle sue canzoni, neppure da lui.
E poi anche "Noi ci saremo".

Chi ci crede più alle favole, d’altronde Peter Pan non lotta più, ha venduto il suo pugnale, Capitan Uncino manda Wendy a battere sul viale, Hansel e Gretel hanno fondato una fabbrica di cioccolato, l’Isola Incantata è già stata lottizzata e Alice nelle bottiglie cerca le sue meraviglie. Ma per me i Nomadi sono stati una favola. Bella e triste. Non ricordo il numero di concerti che ho visto, credo una settantina, perché loro in Piemonte venivano e vengono spesso e poi mi bastava telefonare a Maurizio e chiedergli se mi faceva trovare due biglietti omaggio. E da Maurizio, io e mia sorella, che sempre veniva con me, ci facevamo pagare pure i panini prima del concerto. Ai tempi manco c’erano le transenne, ti avvicinavi a loro quando volevi, e mi ricordo che una volta in camerino chiesi ad Agusto di cantarmi "Asia", e lui mi rispose "Stasera te ne faccio una ancora più bella" Era "Canzone della bambina portoghese", che poi cantò per anni dal vivo.

Io e mia sorella ai concerti facevamo sempre un po’ di casino, oramai ci conoscevano tutti, il servizio di sicurezza soprattutto, che ci teneva d’occhio, perché alla fine del concerto riuscivamo anche a infilarci sotto il palco di nascosto e passare dall’altra parte, e una volta lì ci stavamo, e ci divertivamo a torturare il gruppo. In mezzo ad altra gente che chiedeva autografi e li adulava, io e mia sorella arrivavamo da Cico il chitarrista e gli toccavamo il culo. Oppure gli rubavamo baci sulla bocca a tradimento. Oppure andavamo da Daniele il batterista e ci dicevamo "Per favore mi faresti accendere con quel tuo clipper sfigato?". Oppure andavamo da Dante il bassista e ci dicevamo "Senti aspettaci un attimo per l’autografo, che prima andiamo da Augusto". Oppure da Beppe Carletti, a lui ci baciavamo le mani e lo chiamavamo Papetto e ci dicevamo "Senti un po’, ma che cazzo di canzone è "Il tavolino? è orrenda" E una volta quando Augusto stava raggiungendo l’auto per andarsene e pure gli altri, mia sorella lo rincorse urlando "Augustooooo aspettami vengo anche ioooooo, aspettami ti pregooo" E Augusto "Ma dove vuoi venire?" E mia sorella " Al Cantagirooooooo". Ricordo che la moglie di Daniele, il batterista, rideva come una pazza. E anche io. E credo che pure loro fossero divertiti da noi, perché concerto dopo concerto si prendeva confidenza e Cico quando ci vedeva urlava "Quelle due li noooooo, non fatele avvicinare, mi toccano il culo" Oppure Dante, vedendo mia sorella con un pajo di jeans tutti tappezzati con pezzi di tappeti esotici le diceva "Tu con quei jeans da Augusto non ci vai".

E solo due anni fa, quando suonavano a dieci chilometri dal posto in cui vivo e pioveva a dirotto, concerto annullato, ed io e mia sorella sapendo che stavano cenando in una birreria, avevamo deciso di fare un salto. Tutta la gente fuori che aspettava, ma..la moglie del batterista che si ricordava di noi, ci aveva fatto entrare. E ci eravamo sedute a tavola "Fetta di torta anche per me, grazie, caffettino, si grazie, digestivo, perché no" Tutto a sbafo, sedute vicino a Cico, tentando di toccarci il culo, con la sicurezza che ci guardava con odio" E quella volta che entrammo nell’auto di Cico ed io rubai una cassetta musicale. Una volta a casa l’ascoltai e c’era incisa una voce da fichetto accompagnata da sola chitarra, ma le canzoncine non erano male. Quando telefonai a Cico, lui mi chiese "M. per caso hai preso una cassetta?" Ed io "Si" E lui "Io..io..io..quelle sono incisione mie, è l’unica copia che ho, io..io..io..ti ammazzo, il copyright, io ho bisogno di quella cassetta è inedita.." Ed io per tutta risposta gli canticchiavo un pezzo di canzone che avevo imparato da quella cassetta "Il loto nasce nel soleeeee" E lui "Ecco, sentila". Gli rimandai la cassetta e un paio di anni dopo incisero "Il vento del Nord", che era esattamente la canzone che canticchiavo.


E poi pero’ morì Dante in un incidente stradale e il primo concerto senza di lui lo fecero dalle mie parti, senza il basso. Il suo posto era vuoto. E Augusto a metà concerto, ricordandolo disse "Non è giusto, muoiono sempre le persone migliori" E scoppiò in un pianto irrefrenabile e piangevamo tutti. E poi pero’, era il 92 ed io avevo organizzato un loro concerto con l’Associazione calcio del paese dove lavoravo. Doveva essere il 21 Settembre. Avevo già ricevuto cartelli pubblicitari e i biglietti siae, ma intanto qualche concerto loro venne rinviato. Augusto non stava troppo bene si diceva. Non capivo, volevo capire. E quando a Parma incontrai Cico e mi disse "Se avessi potuto prevedere tutto questo, forse non avrei mai accettato di suonare nei Nomadi. Troppa sofferenza" E allora capii che Augusto stava morendo. E Cico mi fece ascoltare l’ultima sua incisione "Un bersaglio al centro" con Aida Satta Flores. E poi mi arrivo’ il certificato medico, che mi diceva che il concerto doveva essere rinviato perché Augusto Daolio aveva problemi di salute. E poi mi telefono’ il 7 ottobre alle otto del mattino Lorenzo, organizzatore dei concerti in Piemonte per dirmi "E’ morto stamattina, vuoi venire ai funerali?" Non andai al funerale, perché mia sorella non poteva venire e non potevo farle uno sgarro cosi. Ma con lei piansi per giorni.

Mia sorella vide il suo ultimo concerto, in quel di Masone sulle montagne genovesi. E mi ha raccontato che lo portavano a spalle, che aveva cantato da seduto, che aveva una voce bellissima, e che un tipo gli aveva urlato "Augusto sei finito" e lui gli aveva risposto "E tu sei contento?"

E ora, quando ascolto "Io vagabondo" dal vivo, la canzone con cui chiudeva sempre i concerti non posso fare a meno di ricordarlo sul palco a cantare, mentre mia sorella ed io ci organizzavamo per andare a fare casino a concerto finito..

Lui è il mio amico Cico Falzone. La foto è di dieci anni fa circa, scattata, mi sembra di ricordare, al Palazzetto a Torino. Io sono rannicchiata, non sono così piccolina, in realtà il nanetto è lui.

 Ciao Ago, no anzi, ciao Gustu, come ti chiamavamo qui

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Io, se fossi Dio

Ed io potrei anche esserlo. Se no non vedo chi.

Ore 9.00
"Isoldeeeeeeeeeee!"
"Augusto, non mi chiamo Isolde, lo sai. Dimmi"
"Si scusa Geltrude, mi dai i miei soldi che vado a bermi il caffè?"
"Non fai colazione qui con noi?"
"No, Isolde"
(intanto Augusto rolla il tabacco, recuperato da mozziconi di cicche che trova in giro per il mondo e che conserva nel suo comodino da notte)
"Ok, qui ci sono i tuoi soldi, pero’ la dovresti smettere di rollarti le sigarette con la carta de La Stampa, non credo ti faccia bene. "
"Isolde, io sono Rocky Marciano, ciaociaociao"
 
Colazione per tutti.

Driiiin, driiiiin
"E’ il telegrafo, lo prendo io".
(Luigino corre a rispondere)
"Si, prendilo tu"
"Pronto, qui il manicomio. No, mi dispiace, è morto". SBAAAAM, giu’ la cornetta.
"Chi era?"
"L’inferno".

Ore 9.30.
"Pippo, ti ricordi che oggi ti tocca fare la doccia, ci vai?"
(a convincere Pippo a farsi la doccia ci vuole circa una settimana)
"Si, ora vado"

Ore 10.00
(Non si sente lo scroscio della doccia, vado in stanza di Pippo)
"Pippo, ti sei appena tolto la maglia, è passata mezz’ora, datti una mossa dai"
"Si, ora vado"

(dopo una mezz’ora Pippo si toglierà i pantaloni, dopo un’ora finalmente canotta e mutande ed entrerà in doccia)

Ore 12.00
"Luigino, dai facciamo un attimo la tua stanza, che poi ti devi preparare che nel primo pomeriggio si va a trovare tua madre, te lo ricordi no?"
(Luigino non risponde)
(Entro nella camera, ci vorrebbe una maschera a gas, perché Luigino da anni piscia un circa venti litri al giorno, contro il muro. Io e Luigino facciamo la stanza)

Pranzo.

Rientra anche Augusto
"Ciao Isolde"
"Ciao Augusto, non mi chiamo Isolde."
"Si scusa Geltrude"
"Non mi chiamo neppure Geltrude"
"Scusa Isolde. Si mangia?"


Si mangia

"Pippo, ti vuoi dare una mossa, sei sotto la doccia da un’ora almeno, lo sappiamo che ti stai ammazzando di seghe, ma stiamo per mangiare"
"Ora arrivoooooo"
(Pippo salterà il pranzo, perché mai arriverà).

Ore 14.00
(E’ la prima volta che Luigino va dalla mamma, di solito è lei che viene qui a trovarlo ed io non conosco la strada, ho delle indicazioni sommarie, ma pare che Luigino, insomma, lui forse, magari, chi lo sa, lui dovrebbe ricordarsela..)
"Luigino, si va"
(Luigino ride fra sè e sè. Dice niente)

"Ricordatevi di Pippo nella doccia", dico ai miei colleghi che si occupano del resto della ciurma.

(Sono in macchina con Luigino)
"Luigino, mi devi indicare la strada, che io non la conosco. Te la ricordi, anche se è passato tempo, immagino"

(Sono passati 30 anni circa dall’ultima volta che Luigino è stato a casa. Luigino non dice nulla, sogghigna ed io proseguo per Via Pianezza)

"Luigino, che dici, ti piace l’idea di andare da tua madre?"
"Se Maometto non va alla montagna, la montagna va a Maometto. Giri a destra!"
"A destra? Ma a me hanno detto di proseguire per Corso Francia."
(faccio per svoltare a destra)
"Giri a sinistra!"
"A sinistra? Ma mi hai appena detto a destra, deciditi cazzo"!
(penso che dalla madre non ci arriveremo mai)
"Tutte le strade portano a Roma! "
(Giro a sinistra poi a destra, poi di nuovo a sinistra, e poi a destra. Io e Luigino arriviamo dalla mamma, lui sale ed io lo aspetto in auto)

Ore 16.00
Caffè e biscottini per tutti.

"Ok, è andato tutto bene, Luigino si ricordava perfettamente la strada"
"Dov’è Pippo?"
"Cazzo, me lo sono scordato!"
(La mia collega è mortificata)

"Pippooo ‘codioooooooo, sei in doccia da cinque oreeeeeeeeee"
Entro e di forza lo spingo fuori (Pippo pesa 150 chili)
"Sei almeno venuto???"


(Pippo non dice niente, entra in stanza e dopo due ore circa si sarà rivestito)


Intanto io entro in bagno e do’ un’occhiatina. A terra è un lago, l’acqua è scesa per cinque ore.   Di solito Pippo schizza sulle piastrelle.
Si, è venuto.

 

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C’hai l’ultima?

Io a Vittorio ci dovevo pulire la stanza. Lui avrebbe dovuto aiutarmi, ma non lo faceva. Credo non approvasse. Il muro della sua stanza era una crosta di anni di sputazzi di catarro. Noi in Piemonte li chiamiamo scraci. E l’azione dell’espettorare la chiamiamo scraciare. Vittorio scraciava in continuazione. Ed io con lo scalpello grattavo via i suoi atavici scraci dal muro della sua stanza. Vittorio una volta era un imbianchino, forse per questo ora si divertiva a rallegrare il muro della sua stanza. La parete era quella di fronte al letto d’altronde. Comoda per la mira e bella alla vista. Vittorio fumava come un turco. Si svegliava la mattina presto e prima di uscire per comprarsi il suo pacchetto di sigarette ti chiedeva "C’hai l’ultima?". Quell’ultima era l’ultima che lui ti chiedesse di offrirgli, anche se in realtà era la prima di una lunga serie. Poi usciva, si comprava le sue sigarette, stava fuori un paio di ore, giusto il tempo di finirle e rientrava. Suonava il campanello, tu gli aprivi la porta e lui "C’hai l’ultima?". Non diceva altro. Qualsiasi cosa tu gli chiedessi lui ti rispondeva solo "Non zo". Come mi chiamo? "Non zo". Sei andato a bere il caffe? "Non zo". Come stai? "Non zo". E rispondeva solo ad un tormentone che gli avevano inculcato gli infermieri e che noi avevamo ereditato. Ma cosa c’hai in testa? "I conigli."

Ecco: C’hai l’ultima, Non zo, e I conigli erano le sue uniche forme di comunicazione, oltre a due occhi che esprimevano di tutto, soprattutto una follia felice.
Io a Vittorio ci dovevo insegnare a collaborare nelle pulizie. Aiutarlo a rifarsi il letto, o per lo meno a pulire gli scraci che lasciava nel corridoio. Ma credo non approvasse. Quando rifacevamo il letto in due, lui stava immobile con il lenzuolo in mano ed io dall’altra parte tentavo di spiegargli. Ora, l’obiettivo non era tanto rifarci il letto, ma stimolarlo, aiutarlo ad essere autosufficiente, il cosiddetto progetto autonomia. Questo era il mio lavoro. Quindi potevi starci anche due ore con lui e il letto. Ora, Vittorio, quando facevamo il letto, teneva il lenzuolo in mano, immobile, sorrideva a te o nel vuoto e non faceva altro. Poteva starci per ore. Dai metti sto lenzuolo sul letto, no? "Non zo".
Cazzo, non è possibile che non sai niente. Io mi chiamo M., devi solo ripeterlo, no? Come mi chiamo? "Non zo." Merda, ma che hai in quella testa? "I conigli". Dai metti giù il lenzuolo sul letto, che in 5 minuti lo facciamo. Silenzio. Immobile. Passavo ai compromessi: se mi aiuti a fare il letto ti do l’ultima. "Non zo". Dopo un’ora di non zo e a vederlo con le lenzuola in mano, ero esausta e il letto ce lo rifacevo io. Aveva vinto lui. Chiamalo matto.
A Vittorio dovevo insegnarli che ogni tanto si deve scopare anche il pavimento. Ma credo non approvasse. Gli porgevo la scopa, lui la stringeva e iniziava a scopare tenendola a dieci centimetri da terra. Scopava l’aria e ci stava per ore. E la stessa cosa col mocio quando gli chiedevo di pulire gli scraci. Lavava l’aria. E cedevo io, un po’ mi incazzavo, ma soprattutto ridevo, e lo lasciavo perdere. Aveva vinto ancora. Chiamalo matto. C’era davvero da chiedersi chi fosse il matto in un ipotetico mondo non convenzionato, io che dovevo "educarlo" a fare il letto o lui che non ne voleva proprio sapere.

Vittorio l’ho incontrato anni dopo sotto il porticato, quando, tornata a lavorare a Collegno, ma nella sezione femminile, stavo facendo una passeggiata. Un piacere enorme! Hei Vittorio, come stai? "Non zo". Ma cosa c’hai in testa? "I conigli". Vittorio, come mi chiamo? "Marinella".
Chiamalo matto.

 

Quindici anni di lavoro sociale, in quasi tutti i campi e in diverse, ma alla fine tutte uguali, cooperative di tipo A, credo che necessitino di una pausa sabbatica, perché rischi, banalmente, di fare male a te e a quelli che stanno attorno a te. Quando non sopporti più le stereotipie dei cosiddetti diversamente abili, quando i minori a rischio ti stanno stretti perché non ce la fai più durante il turno della notte a raccontare nove favole diverse in nove stanze diverse, quando gli adolescenti con disturbi di personalità di tipo borderline ti ricordano troppo te stessa e ti senti responsabile di un loro miglioramento o peggioramento, quando arrivi a casa distrutta dopo 12 ore di turno e la ragazzina ti chiama sul cellulare disperata e vuole parlare solo con te, quando sei di reperibilità e ti chiamano alle quattro di notte e devi andare a recuperare due ragazzini fuggiti, sopportando pure i carabinieri, quando ti viene da prendere a ceffoni la psicotica che urla ininterrottamente dal mattino fino alla sera, quando non ne puoi più di pulire merda, cambiare pannoloni, fare docce, barbe, tagliare unghie dei piedi e vedere piselli, fiche e tette di ogni genere, allora credo sia il momento di dire basta e staccare. Così ho fatto io, avevo bisogno di un lavoro fisico, solo fisico e basta. Forse un giorno riprenderò, ma so che ora è ancora presto. Per ora mi tengo stretti due ricordi fortissimi, la prima e l’ultima esperienza. Prima e ultima, chissà perché, forse non è solo una coincidenza. La prima, nel manicomio di Collegno, con i veri matti, quelli proprio fuori, quelli che, dopo 40 anni di istituzionalizzazione, hanno talmente interiorizzato la sofferenza, da non lasciarne trasparire neppure un po’ e riescono a farti solo ridere, o al massimo incazzare. L’ultima, dilaniante, con gli adolescenti definiti borderline, ma in realtà semplicemente ragazzi con una sensibilità ed intelligenza estrema, che si ribellano a modo loro ad una profonda sofferenza, che tu introietti per forza di cose.

Questo blog era nato per parlare di questa mia esperienza nel sociale, in chiave antipsichiatrica, ma non solo, poi, un po’ perché non ne ho voglia, un po’ perché mi viene più facile cazzeggiare, sto parlando di tutt’altro. E poi c’è l’annosa questione morale che mi sono sempre posta. E’ corretto raccontare le loro storie? Non è un po’ svenderli? Potrei parlare di argomenti generali, di come assistenti sociali, psicologi ed educatori siano superficiali nel togliere alle famiglie i loro figli, di come il sistema abbia contribuito a farmi scoppiare, e forse lo farò, ma ora non ne ho proprio voglia. Preferisco raccontare qualche particolare meno triste, almeno per me. E chissene se forse questo è svendere. In fondo è come se raccontassi di vecchi amici.

Ti prego lasciami andare
Ti prego chiunque tu sia
com’è che sei così cieco
non vedi c’è il fuoco sulla collina

 

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Baby Giuggi

Mami: 

Senti un po’ Baby Giuggi, sono queste le cose che fai a scuola? Le foto?

Baby Giuggy:

certo mami..hai visto k bella?

Mami: 

Cosa e’ che e’ bella? te o la foto?

Baby Giuggi:

ambe due naturalmente!!

Mami:

(asinella, ambedue si scrive tutto attaccato). E magari fai pure i filmini strani come dicono i giornali, eh?

Baby Giuggi:

no niente filmini strani..solo foto artistiche!

Mami:

lo sapevo che eri una ragazzina in gamba, non avevo dubbi. Ma senti un po’..e la PROMOZIONE?

Baby Giuggi:

mmm..la promozione c’e’!pero’….inglese….

Mami:

Inglese cosa? siamo state due mesi a Londra..

Baby Giuggi;

si si lo so molto bella come citta’ Londra..mi sono proprio divertita!!

Mami:

si si bella. Ma mi spieghi come fai ad essere sotto di inglese dopo Londra e in un liceo LINGUISTICO?

Baby Giuggi:

..ma naturalmente e’ colpa della prof k nn capisce un cavolo!

Mami:

Ovviamente. Ma quante ore di lingua avete la settimana?

Baby Giuggi:

3ore di inglese…2 con la prof e una con la prof di madre lingua dove facciamo solo conversazione!

cosi’ anche per francese e tedesco..in totale 9 ore!!

Mami:

Ma che bel programma in un linguistico!

Baby Giuggi:

vero??pensa k di matematica abbiamo 6 ore alla settimana!!!

Mami:

Baby Giuggi..si chiama "il sistema" questa roba qui. A volte fa un po’ acqua..

Baby Giuggi:

..diciamo k il nostro fa parecchia H2O (questo l’ho imparato in chimica!!)

Mami:

Credo che la chimica in un liceo linguistico sia fondamentale.

Baby Giuggi:

si si lo penso anch’io…nn so come farei se nn sapessi la differenza tra un acido e una base!!

Mami:

Hai ragione, io non la so e non sai quante difficolta’ io abbia nella vita.

Baby Giuggi:

..beh ma se e’ per questo anche i logaritmi mi hanno aiutata parecchio!

Mami:

Non ho dubbi. Ma tornando ad inglese e a quella siNpatica prof, non e’ che potrebbe tirare un po’ e darti un sei?

Baby Giuggi:

lasciamo stare..io di media ho 5.7..praticamente sei!ma lei nn me lo vuole dare xk dice k se mi aiuta io nn faccio nulla durante l’estate!..e poi lei vuole un cambiamento psicologico in me!

Mami:

Beh, dai, direi che 5.7 e’ una media decorosa. Ma dille un po’ a questa prof che la tua mami non vuole un cambiamento psicologico tuo, che vai bene cosi’ e che magari potrebbe metterlo in atto LEI, no? Oppure vuoi che ce lo dico io al prossimo colloquio?

Baby Giuggi:

..guarda poverina e’ un po’ frustrata…e’ stata mollata sull’altare..vive con un cane k ha solo 3 zampe!

Mami:

Baby Giuggi, non dire queste cose!! Non sta bene ridere sulle disgrazie altrui! 

Baby Giuggi:

lo so lo so mami!! e’ k a volte proprio nn riesco!poi dai nn puoi nn farti una risata su una cosa del genere!

Mami:

ma si, ridiamoci su..senti e’ arrivato Salvador, dobbiamo mollarci il computer. Ma se ti mando una mail una volta che Niki ha aggiustato il mio, dici che ti rubo troppo spazio?

Baby Giuggi:

si xk ho solo piu’ 90 GB di harddisk..

Mami: 

ok..vada per un sms. E bacioni per la promozione, Amore Bello, non avevo dubbi. Ti bastano i bacioni o vuoi anche un cinquantone?

Baby Giuggi:

..beh diciamo k preferirei il cinquantone..ma vanno bene anche i baci!!

 

VIVA LA SCUOLA!! Ciao tutti, ciao Niki, da Mami e Baby Giuggi 

 

 

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Ahhhhhhhhhhh!

Fermare il treno, nessuno qui sa come si fa!

Caro diario,

sto lasciando Manchester, dopodomani parto, sta aumentando la velocita’, e mi sta prendendo una malinconia probabile e prevedibile, quella che ti prende quando fai quelle cose che vuoi fare ma non sai perche’, quando fai quelle cose che fai ma che, forse, non vorresti fare, mi capisci?

Capire il treno, non senza una ragione ci rovescera’ !

Vorrei fare un elenco di quello che perdo e di quello che ho preso, ma mi vengono in mente solo un paio, non di piu’, di stupide cose…

Prevedere il treno, nessuno qui sa come si finira’ !

Ma metti che uno sente odore della sua citta’..Qui ora c’e’ il sole da un paio di giorni. E qui quando c’e’ il sole e’ davvero il paradiso. Non e’ troppo caldo e c’e’ quel vento che ti fa volare i capelli e sentire importante. Mi hanno detto che in Italia piove da giorni e piovera’ ancora per giorni. Ho lasciato il sole per la pioggia ed ora lascio sole per altra pioggia. Reggero’ tutto questo?

Del raccolto, padre, lei dice, bene..si vedra’.. 

Ho preso una sorta di melting pot. Ho preso un sacco di cose dal take away giamaicano. Ora mi cucino la pasta al volo, senza sugo, ci metto su solo hot pepper caribbean sauce e la trovo fantastica.

Ho preso un concerto di Bonnie Prince Billy at The Bridgewater Hall.

Ho preso una giornata fantastica a Londra in Gennaio con Pete

Ho preso qualche parola in inglese

In quel posto, per esempio, ci ho perduto la serenita’

Lascio la mia pianta di fragole on the balcony. Sono nati i frutti e stanno maturando. Non li raccogliero’.

Lascio il mio amico indiano del negozietto qui accanto, e che oggi mi ha dato un bacio.

Lascio parchi immensi, che in Italia me li sogno.

E lascio tutti gli obesi inglesi, imprigionati nel loro corpo assai opulento, che sembrano uomini generati da un enorme allevamento.

 

Ma aspettando le colline la Signora cantava il Blues

 

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Borderline

L’unica cosa che voglio al lavoro e’ che mi lascino la mia musica e il mio iPod nelle orecchie. E’ l’unica cosa che mi salva. Nell’hotel dove sto lavorando ora, un quasi cinque stelle (boh..segnano quattro e mezzo, ho visto ora su internet), non me lo volevano permettere. "Per la tua security" mi hanno detto. "Se qualcuno ti arriva alle spalle mentre pulisci, non lo senti e non ti puoi difendere". Ma per favore, che cazzo di security, siate onesti, io credo sia una questione di immagine. Siamo tutti cosi perfetti, noi housekeepers, siamo macchinette in divisa che dicono good morning e sorridono a tutti, che danno retta al cliente viziato che rompe le palle a te per una qualsiasi cazzata, invece di chiamare la reception. Siamo macchinette che rassettano la stanza anche quando il tipo e’ dentro e ti dice si..puoi pulire anche se io sto qui, thank you. Niente di piu’ imbarazzante, e a volte, si, anche umiliante..tu pulisci e lui ti osserva. Bruttissimo. 

Io mi spacco il culo tutto il giorno. Lasciatemi almeno la mia musica. "No, non puoi". mi dice il manager. Ma io senza la mia musica piuttosto lascio il posto, o cosi o pomi, me ne fotto. L’altro giorno, dopo la sentenza di divieto, appena in ascensore (dove tra le altre cose, riesco anche a farmi la pulizia del viso allo specchio) mi rimetto le cuffiette e torno nella mia stanza a pulire. Impegnata a lavare il water ascoltando "Baker Street", una vecchia canzone che ho adorato da ragazzina, e che ho downloadato per puro caso, perche’ chi se la ricordava piu’, e i ricordi sono ricordi, e i ricordi che ti da la musica non te li da nient’altro, mi bussano sulle spalle. E’ il supervisore. "Again"? e mi guarda le cuffiette. "Ti stavo parlando e osservando da cinque minuti almeno, e non sentivi". No che non sentivo, la musica era a volume massimo, ci pulisco meglio il water. Fermissima ci dico che senza la musica non e’ storia per me e che in tutti gli hotels in cui ho lavorato nessuno mi ha mai rotto le palle. Difendo qualcosa di indispensabile per me..e credo che lei colga. Sorride e mi dice "ok, facciamo che io non ti ho vista". Vittoria. 

Stanze, stanze, stanze. Tutte uguali, divergono solo per il livello di fatica, dipende da quanti letti e quanto zozzume ci sta dentro. E penso. Penso a tante cose. Penso: "perche’ l’uomo ha inventato il coprimaterasso, il copriletto e lo scendiletto, perche’?" E sono domande a cui non so dare risposta. E penso a Valerio, figlio di un uomo importante e famoso, che la sera del suo compleanno aveva cercato di sgozzare padre e madre. Era arrivato da me, ed ero sola in turno come al solito, e lui era accompagnato da due celerini del Beccaria. E penso a quella volta che l’avevo portato al mare e noi due a galleggiare sulla boa ed io che prendendo coraggio gli chiedevo "Ma..al Beccaria?" E lui "Ho conosciuto Erica" "E com’e’?" "Cretinetta". E penso a Bianca, che arrivava dal nord est e a quella volta che ero stata un’ora ad abbracciarla mentre le sue braccia sanguinavano a fiotti di vetri rotti alla finestra. Le avevo tolto i vetri dalle ferite, il suo sangue nelle mie mani, tremavo e l’abbracciavo. Perche’ ti tagli? Un’ora cosi, a tenerla stretta e lei che piangeva, poi l’avevo curata e medicata. E penso a quella volta che l’avevo presa in braccio come una bimba ed ero riuscita ad imboccarla, dopo che da giorni non mangiava. E penso a Fabry, quando era incazzato e distruggeva tutto quello che aveva attorno, a quel suo calcio nella mia figa che mi aveva stesa, a quando lo avevo contenuto per un’ ora a terra e le sue mani che tiravano i miei capelli e la mia collega che cercava di aiutarmi, ma peggiorava la situazione, che a tirarmi i capelli ora erano in due, e una volta arrivata a casa due nimesulide non erano bastati a farmi passare il mal di testa. E penso a Manu, dove sara’ ora? sua madre diceva che era andata fuori di testa dopo aver visto "Ragazze interrotte".. Dove sara’? Penso a quando in ospedale, dopo che aveva mangiato tabacco, ero stata con lei a tenerle la mano durante la lavanda gastrica..

Li chiamano borderline, i miei ragazzini, che mi dicevano sei una di noi. Ero troppo una di loro. Ero borderline anche io, tanto da non farcela a reggere. Questo penso, ora, mente pulisco il water con le cuffiette. 

Quando ad un acuto dolore segue una piu’ acuta fantasia..

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