DarkTime

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Foto

top model

 

Yumi, Nina’s sister

 

 

Tenerezza

 

 

L’ho fatta io. Proprio io.

 

Non riesco a scrivere, proprio non mi esce niente

Ciao Jacko, will you be there?

 

In Our Darkest Hour
In My Deepest Despair
Will You Still Care?
Will You Be There?
In My Trials
And My Tribulations
Through Our Doubts
And Frustrations
In My Violence
In My Turbulence
 
In My Fear
And My Confessions
In My Anguish And My Pain
In My Joy And My Sorrow
In The Promise Of Another Tomorrow
I’ll Never Let You Part
For You’re Always In My Heart.

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Faccio anche l’amore (ma oramai è un particolare)

guardo dentro agli occhi della gente

cosa cerco non so, forse un uomo

 

http://noblogs.org/flash/mp3player/mp3player.swf

E dopo la bolletta dell’eni, qui a casa nostra ecco arrivata anche la connessione veloce.

E poi, oltre alla Nina, è arrivata anche la Cecilia, bella bella. Ogni tanto mi si riempie la casa di studenti, l’altra notte hanno dormito in sei di là, io come mamma non so proprio che fare, per ora sopporto

Non so Cuanto userò noblogs (è ancora di moda?) e che farò, ma ho visto amici perire di facebook

Io niente, stasera mi sono buttata su emule a scaricare qui e là tutto quello che mi passava per la mente, dalla a alla zeta, tra cui pure Nicola di Bari, Modugno, i Collage. E poi Baccini e la sua Figlio Unico, che lo avevo visto in concerto, bravo bravo tanti anni fa, che poi dopo quello non ha fatto più nulla di interessante e amen

A presto che ho delle confessazioni riservate da farvi, stasera non posso

(o siete tutti su facebook?)

 

la nuova arrivata

 

 

 

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Lei

Ciao amici bloggers! E’ un po’ di tempo che non scrivo. Nel frattempo, non sono morta, non mi è accaduto niente di grave e neppure di entusiasmante, diciamo che per i tre quarti del tempo in cui sono mancata, non è successo praticamente un accidente. Ho letto tutto quello che l’occasione mi offriva senza nessuna pretesa, ho accolto tutto molto generosamente di bocca buona, come fa un uomo affamato verso una qualsiasi passera, basta che fosse qualcosa da mettere sotto gli occhi. Per rendere l’idea, sono passata da Il Maestro e Margherita di Bulgakov a Julia la criminologa Bonelli editore, poi  Cecità di Saramago e I delitti della Rue Morgue di Poe, poi Dampyr e pile di Confidenze storie vere di vita vissuta, raccontate come fossero novelle, si sa che la realtà supera sempre la fantasia. Ho letto anche la Cornwell, giusto per togliermi la curiosità del suo successo, e le sue traduttrici sbagliano a coniugare i verbi. Ho provato anche a leggere un romanzo di Liala, ma non ce l’ho fatta. Magari più avanti col tempo. Il meglio, e ve lo consiglio davvero con tutto il cuore, è stato il Dracula di Stoker. Lo so che non mi distinguo per originalità e attualità nel consigliarvelo, ma il romanzo è davvero impareggiabile. Ho poi capito una cosa importantissima della mia vita: sono abitudinaria. E anche tanto, al punto di esserlo anche nel cibo. Chi l’ha detto che serve cambiare alimentazione sempre? Io per esempio andrei avanti a riso basmati e basta. E la sera latte e biscotti. Davvero che quando sono sola e non devo fare sforzi per cucinare, io sono felicissima di questi due alimenti. Abitudine per abitudine, il mio imperdibile appuntamento quotidiano alla Tivù è Terra Nostra, alla una del pomeriggio su rai 3. Telenovela brasiliana a puntate. Centinaia di puntate. Già l’avevo vista anni fa, ed ora è in replica. Ieri l’altro avevano trasmesso l’ultima puntata, ma oggi ho scoperto con piacere, che hanno ripreso di nuovo dalla prima. Per la terza volta. Consiglio di cuore anche Terra nostra, dunque. Storia di italiani poverissmi, che emigrano in Brasile nell’800, di negri in schiavitù, di baroni del caffè, di cocchieri, di comari e compari. La prima puntata, per chi oggi non l’ha vista parte raccontando il viaggio in nave dalla Liguria verso il Brasile, di migranti italiani, che vengono colpiti dalla peste. Su quella nave nasce però anche un grande amore! Il resto non ve lo racconto mica. Vedetela, che quelli per lo meno sanno recitare e sono anche belli.

Comunque, chiacchiere a parte, io so bene qual è il mio problema. E’ l’affetto. O meglio, tutto un complesso di cose che hanno a che fare con l’affetto. In quel complesso di cose c’è anche una frase che avevo pronunciato anni fa Un figlio a 20 e uno a 40, perché no. E quindi perché no? Lei mi fa tutto quello che vuole, mi bacia sulla bocca, mi lecca dentro le orecchie, mi piscia la mouquette, caca sul parquet di legno vintage, mi morde i capelli, dorme sulla mia spalla e nel mio letto la notte. 

E’ la Nina.

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-2008- Bilanci

E’ bello farti ridere

 

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*

Il pilota giapponese studia ampie traiettorie circolari nel cielo. Studia la situazione.

Una volta un ospite mi ha detto che sono un parassita perché se lui non avesse i suoi problemi io non avrei un lavoro.

Cosa faccio? Coltivo le mie manie di grandezza. Ma chi cazzo mi credo di essere, Dio? Allevo il mio amor proprio facendolo pascolare sulla sfiga degli altri. Crocerossina o sfigata senza nessun’altra possibilità nella vita?

Una volta mi hanno detto non so come fai a fare questo lavoro, io in alcune situazioni non saprei che fare o cosa dire.
Che cazzo vuoi fare, che cazzo vuoi dire, fai e dici quel che puoi e che sei. Tanto se sbagli paghi.

E mio zio Mario, comunista sfegatato amico di Ferrero, importante questa precisazione, mi ha detto ridendo a crepapelle del mio entusiamo "E’ proprio un lavoro ambito da tutti, quello del dormitorio pubblico, ahahhaah"

Ci sono 15 gradi qui, ho il naso e le dita fredde, ma non consumo gasolio. Fuori c’è la crisi, il 2009 sarà ancor peggio. Aspetto che trovino un nuovo pozzo di petrolio, valà.

Babbo Natale tossico, fatti vivo.

Per gli amici, sono viva e ci vediamo qui per il bilancio e i saluti di fine anno.

Hey you, out there in the cold
Getting lonely, getting old
Can you feel me?

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Oppio e zucca, ai ferri corti con l’esistente

Aprito il frigo, prima. Una fetta di zucca, avanzata dal riso e zucca della settimana scorsa, sta marcendo, butto via. Contenitore di plastica arancio, quelli da frigo, apro, patata bollita avanzata pure lei non ricordo da quanto, butto via pure lei. Due fette di parmigiano, mezza fettina di limone, barattolo che ne manca un cucchiaino e poi è vuoto, di marmellata alle fragole. Una cipolla, un pezzetto di sedano e un litro di latte CRAI parzialmente scremato. Cosa c’è meglio di un frigo vuoto o riempito male per rispecchiare la desolazione? Il frigo è lo specchio dell’anima, direi. Aprita la dispensa, dopo. Anche le fette biscottate al malto son finite. C’è del pane di ieri e poi 80 mg di metadone in 4 bottigliette da 20 mg. Sono sola in casa, la pupetta non c’è e i figli servono anche per farti cucinare. Ma per me sola, una zuppa di pane e caffèlatte, atavico sapore che come cucinava la nonna nessuno cucina più, va bene assai. E mentre puccio senza ritegno il pane dentro il caffelattè, infilandoci le dita dentro fino alla seconda giuntura ossea, penso che se non avessero sintetizzato l’eroina per rimediare ai danni dell’oppio e non avessero sintetizzato il metadone per rimediare ai danni dell’eroina, a quest’ora magari nella mia dispensa ci sarebbe l’oppio e avrei potuto magari cucinarlo con la zucca per una torta. Ma la ricerca farmacologica è venduta al capitalismo, si sa.

Oppio nel sangue e anche negli anfratti della propria affannosa e faticosa esistenza. Leggevo questa frase, prima. Il libro, che proprio libro ancora non è, ma speriamo lo diventi, parla anche di borghesia assassina, disposta ad uccidere un popolo nel sonno, soffocato dai fumi dell’oppio. Sono quelle verità conosciute, un po’ come quella che l’eroina avrebbe distrutto il movimento politico dei ’70 (invece io dico che nei ’70 quelli che se la son data alla robba rinunciando alla politica, è perché avevano capito che tanto non cambiava un cazzo) che ti chiedi..chissà se chi scrive che l’oppio addormenta l’ha vissuta sulla sua pelle. COME DICEVA ARISTOTELE LE COSE CHE E’ NECESSARIO AVERE IMPARATO PER FARLE, E’ FACENDOLE CHE LE SI IMPARA. No, perché dico..ha pure ragione. Mai come ora, ho imparato quanto sempre di più l’oppio sintetizzato in tutte le versioni possibili serva a contenere. Approfondisco le mie cicatrici sulla mia pelle, scelgo di congelare le emozioni ed osservare più o meno in silenzio quello che succede intorno a me. E ho anche una maledetta voglia di fare l’amore, ma non trovo con chi. Rimandiamo al momento giusto, se ci sarà.

Vi racconto ancora una storia, una sola e basta, che sennò mi sembra di essere la Alda D’Eusanio. La racconto perché mi hanno detto che tanto in quel lavoro e in quell’ambiente me la dovevo aspettare prima o poi una storia così, è la norma, era solo questione di tempo, e infatti quel tempo è arrivato. Ora, nei dormitori hanno "diritto di precedenza" quelli che sono usciti dal carcere e hanno fatto un periodo di carcerazione superiore ai tre mesi (non chiedetemi il perché, è la solita storia delle leggi inspiegabili, nonché espressioni della stupidità umana). Quindi, spesso si presentano da noi coloro che in giornata sono usciti dal carcere e non sanno dove andare e tra i nostri ospiti, molti sono quelli che hanno avuto l’onore di conoscere le patrie galere. Uno di questi, 47 anni, aveva iniziato un progetto semilavorativo, una sottospecie di borsa lavoro, all’interno di un percorso riabilitativo. Una piccola presa per il culo diciamo.. Pagato 2 euro l’ora, cinque ore la mattina per tre volte la settimana a coltivare un parco, che fa parte del dormitorio, che prima di divenire il primo dormitorio pubblico comunale, era stato una scuola media statale. Per dire. Ed io ho seguito questo progetto per un mesetto, perché in quanto jolly per le sostituzioni, cioè tappo i buchi di assenze dei colleghi di ruolo, mi avevano mandata anche a fare quello, quindi coltivavo la terra assieme ai barboncelli, e mi piaceva pure, il parco è diventato bellissimo, tra l’altro. E la sera lui dormiva da noi, perché, per chi segue un percorso riabilitativo, c’è in progetto anche il posto fisso per dormire, quindi gli spetta più del canonico mese di posto letto. Quindi io, in quanto jolly, ovviamente ero jolly anche a fare i turni la sera e lo ritrovavo anche lì. Bella persona, mi piaceva (anzi mi piace, perché ancora lo vedo al lavoro) farmi raccontare le storie di carcere, chi rispettava chi, chi non rispettava chi, come funzionano le sezioni e tutte ste robe qui. Testina calda, era stato dentro per tentato omicidio, cioè aveva quasi ammazzato uno per una lite etc etc. "E’ adeguato, rispettoso, ha anche la testa sulle spalle, ma è uno che se perde la testa il coltello lo usa per davvero" opinione diffusa tra i miei colleghi.

Alcune sere fa dunque entro in turno, apro la struttura, faccio l’accoglienza (che vuol dire andare ai cancelli e prendere i nominativi di chi è arrivato per cercare di avere il posto per una notte e fare entrare invece chi ha già il posto fisso) e lui si presenta abbastanza alticcio e molto polemico nei riguardi di un altro ragazzo che la sera prima non aveva rispettato il suo turno cucina, ma, diceva, l’aveva scavallato. Vabbe’ classica situazione cazzata che si prende come scusa per far casino quando si ha voglia di fare casino. E lui ne aveva parecchia. Alticcio e stanco della vita fuori, si lamentava di quanto fossero faticose tutte quelle ore al freddo senza un posto dove andare, neppure per pisciare. I dormitori aprono alle 20 di sera e chiudono alle 8 del mattino. Dalle 8 alle 20 quindi, non c’è cristo che tenga, sono tutti per strada a fare solo loro sanno cosa. Succede quindi che siamo in ufficio io e il mio collega, che lo stiamo ad ascoltare. Succede che entra in ufficio l’altro tipo, quello che non l’aveva rispettato in cucina la sera prima. E succede che succede il patatrac. Ecco lo stronzo di cui parlavo attacca lui. Potete immaginare la reazione dell’altro (c’ero pure io che sono donna..orgoglio testosteronico ferito..) Stronzo accchi?? ribatte, gonfiandosi come un galletto. Non doveva dirlo, proprio no, perché da lì iniziano i codici di comportamento carcerari. Tira fuori il coltello e il mio collega (che già aveva ricevuto una coltellata un mese prima, ma questa è un’altra storia) è visibilmente spaventato e urla Nooo mentre con una sedia tenta intanto di ripararsi e poi di fermare il tipo col coltello. Io sono dall’altra parte della scrivania, e il noooo del collega mi terrorizza più di quanto già non lo sono per la situazione in sé, e cerco di fermare l’altro, che è visibilmente terrorizzato, ma continua a fare il galletto perché proprio non può farne a meno. Il tipo, il coltello lo usa davvero, ricordo pensavo in quel momento, e mi cagavo sotto.. "Non me ne frega un cazzo se mi arrestano, anzi sono contento, io ti ammazzo" intanto urla lui. E mentre il mio collega con la sedia tenta di spingerlo fuori dall’ufficio, io trattengo l’altro. Sarà la disperazione.. ma gli strappo tutto l’accappatoio che indossa, perché poco prima avrebbe voluto farsi una doccia. Sembrano non calmarsi, le urla aumentano, fuori dall’ufficio sono una decina a guardare e non dire nulla, niente di niente, nessuno si muove, nessuno tenta di intervenire. Io sono disperata, guardo il tipo del coltello gli urlo di non farmi spaventare così, di avere pietà di me, di smetterla perlamordidio. Io non so se sia stato questo, ma sembra rinsavire per un momento, mi guarda, poi esce dall’ufficio, si avvicina alla porta d’uscita e urla Vieni fuori, che ti ammazzo fuori. Insomma decide di lasciare perdere. Perché se avesse voluto fare un disastro, lo poteva fare per davvero.

Io lo seguo fuori. Intanto il mio collega in ufficio sta con l’altro e chiama, per forza di cose, il 113. Ci sediamo tutti e due sui gradini e lì il momento si fa ancora più pesante. Una pesantezza differente, ma di certo non più lieve. Perché scoppia in un pianto disperato, ma così disperato che lo sento dentro anche io, con quelle lacrime così vere che fanno scendere anche le mie. Non so..sarà lo spavento di prima, sarà la sua disperazione, ma anche io piango quasi a dirotto. Marinella non ce la faccio più. Non posso vivere così, è meglio la galera. Io voglio tornare in galera. Almeno lì ero LIBERO. Avevo da mangiare, da dormire, una tivu’ ed ero rispettato. Qui è troppo difficile, ho 47 anni, non ce la faccio a recuperare. Per fare la pipi devo prendere due tram. Per fare colazione, devo andare alla mensa. Per il pranzo devo andare ad un’altra mensa. Aspetto 167 € di sussidio da mesi e non arriva e non si sa perché. Ma anche se arriva, che faccio con 167 €? Ho conosciuto te qui, tu…sei una donna, sei una bella donna..mi piaci e ti voglio già bene, ma come posso io pensare di poter interessare ad una donna? Cosa posso offrirle? E continua a piangere. Intanto arriva la polizia e lui mi dice che vuole farsi arrestare, che è l’unica soluzione sensata per la sua vita. Allora provoca gli agenti, uno è giovane, è un poliziotto, come tutti i poliziotti se la tira e lo tratta male. Lui gli dice di trattarlo come una persona, che non è una bestia e fa per aggredirlo. Gli saltano addosso in due, lo gettano a terra, faccia a terra, braccia dietro la schiena, gli infilano le manette. Talmente strette che sanguina ai polsi. Lui è a terra, mi guarda e mi dice Marinella finalmente mi arrestano. Io non ce la faccio più a vedere, entro dentro, chiedo al mio collega di stare un po’ lui fuori, che devo riprendermi. Non lo arresteranno, lo porteranno solo via per quella sera…So da lui, me l’ha raccontato, perché l’abbiamo riaccolto (a condizioni particolari, la violenza non è mai tollerata) che ha continuato a provocare per farsi arrestare, ma non l’hanno arrestato, gli hanno solo rotto due costole e poi lasciato andare..

E ieri sera, altro jolly, altro turno, diverso dormitorio..un’altra persona che appena uscita dal carcere, ieri l’altro solo, mi diceva di volerci tornare, almeno per passarci l’inverno. Che libertà avrei io fuori? Quella di camminare al freddo 12 ore?

Esco di rado ma osservo molto
come vedi
alla vita mi vendo tutto
dalla testa ai piedi
la vita è un ballo verticale
si impara un passo al giorno
il prezzo dei passi sbagliati
è un brutto foglio di via
cioé non c’è ritorno

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Sostiene trollina

Sostiene trollina che da un po’ di giorni vorrebbe comunicare con voi quissopra. Di solito quando scrive quissopra la sua mano corre veloce veloce sulla tastiera, con quella velocità necessaria per mettere iscritto tutto quello che già è nella mente, per, come si dice, fermare i pensieri. Invece, sostiene trollina, di questi ultimi tempi, succede lei provi a scrivere qualcosa ma poi, come si dice, non c’è direzione nel vuoto, le mani non sono con la mente, la mente non è colle mani e così chiude la pagina. Quando poi la riapre, e il sistema le ricorda che ha scritto un articolo, se desidera cliccare qui e recuperarlo, oppure cancellarlo, succede lei scelga di cancellare, senza nemmeno vedere quello che avrebbe potuto recuperare. Tutto ciò potrebbe essere dettato dal fatto che non ha niente da scrivere di interessante, ma poi si ricorda che quando mai ha usato il blog per scrivere qualcosa di interessante?

Sostiene trollina che nella vita le cose non vanno mai come vorresti. Che una frase non detta potrebbe forse cambiare il corso delle cose, invece niente cambia e tutto resta come non vorresti perché, appunto, non l’hai detta. Comeperesempio, quella sera del concerto di Fossati, quando tutti erano in piedi ad applaudire -tiepidamente-l’artista, e -sempre tiepidamente- qualcuno sotto il palco allungava il braccio, per riuscire a stringere la sua mano, ecco proprio in quel momento lei avrebbe voluto dire, senza urlare, solo col tono sostenuto di chi è sicuro di sè: Maestro, ci conceda ancora una canzone, "L’agonia delle vedove". Ma non l’aveva detta. Per il semplice fatto che accanto a lei quella sera non c’era sua sorella. 

Una parola non detta cambia il senso della percezione, della realtà e anche, soprattutto, della relazione. Come la sera scorsa, sostiene trollina che aveva incontrato lesion in giro per Torino. Che piacere, quanto tempo che non ci si vede, ma stai ancora insieme a quella ragazza? Si. Ah ecco, sai che l’ho pensato che foste ancora insieme e quindi lei qui a Torino, perché ho letto il suo nickname scritto sulle mutande insanguinate appese sotto casa mia. Non credo sia lei, sai? aveva risposto lui. E il suo sguardo, sostiene trollina, si era fatto scrutatore, di quelli che ti arrivano fino in fondo agli occhi, e anche un po’ preoccupato. Ti saluto, stammi bene eh. Sostiene trollina che poi, quando lui se n’era andato, le era venuto in mente che si era dimenticata di precisare che le mutande insanguinate appese sotto casa sua erano quelle di un’artista che aveva preso parte ad un’iniziativa di tre giorni e tre notti, per le vie di San Salvario, la Montmartre di Torino. Forse quella precisazione era importante.

Sostiene trollina di aver sempre pensato che quello che le diceva sua madre a proposito delle relazioni affettive, fosse una gran cazzata. In amore vince chi fugge. Niente di più stupido. Già vincere sottende una guerra. Ma se guerra deve essere e se a banalità si deve contrapporre altra banalità, in amore vince essere sé stessi. Sostiene trollina di aver passato questo we in casa da sola, due giorni a leggere, pensare, mangiare, fumare. Fuori tirava un vento freddissimo e la sensazione di avere un posto dove ripararsi era confortevole e rassicurante. Ad un sms di una carissima amica che le chiedeva di passare insieme la giornata di lunedi, aveva pensato bene di non rispondere, c’era tempo. Alla proposta di una cara collega che abita due traverse più in là, di passare insieme la domenica tranquille a cazzeggiare fra donne, aveva preso tempo un paio d’ore per poi richiamare e dire che si sentiva orso. Ad un invito ad una cena, offerta da un amico, fatto il mercoledi per il sabato sera, aveva rimandato tutta la settimana per poi il sabato fare pacco e non farsi sentire. Quei pacchi che la fanno sentire in colpa, sostiene trollina.

Allontanare l’amore di tutti i giorni, quello che si tocca, ti tocca. Musica è rumore. Poesia, porcheria. Scappare, paccare, non rispondere, non farsi trovare. In amore vince chi fugge? E a chi rincorre cosa succede? Sostiene trollina che in quest’ultimo week-end, mentre cresceva il numero di pacchi messi a segno agli amici, di pari passo aumentava il desiderio di rincorrere e prendersi cura di qualcosa molto prezioso, ma molto lontano. Tanto prezioso quanto lontano. 

 

 

 

 

 

Ei  come sta il sapore amaro
    di appuntamenti a cui mancavo
    di pensieri, sempre i più buoni
    cancellati dalle intenzioni
Ei  come sta il sapore amaro
    di una fine sicura
    perché so, perché lo so
    di tanto amore morirò
    di questo amore morirò

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Fossati

L’uomo avrà quarant’anni e i capelli da ragazzo. In mezzo al cortile tiene l’anima per sé

 

 

Grazie a Michela, genovese, che mi ha dato modo di vedermi ieri sera al teatro Colosseo, Fossati dalla terza fila.

Ero arrivata alle 20.40, per il concerto delle 21.00, con mia figlia, da me OBBLIGATA ad accompagnarmi, con due biglietti poltronissime, 19 fila, da tentare di svendere. Erano quelli di mia sorella e del suo compagno, che non sono riusciti a venire. E già per me vedere Fossati senza mia sorella non era più la stessa storia, ma non potevo perdermelo, proprio no e nel pomeriggio avevo fatto un giro di telefonate ad amici. Concerto stasera al Colosseo gratis? Magari si, ma chi? Fossati? ah..guarda sono proprio dispiaciuta/o, ma se lo avessi saputo prima si poteva fare, grazie tante comunque.

E allora io lo amerò ancora di più.

E anche Michela, conosciuta in mezzo alla fila ordinata di gente davanti alla biglietteria, ci aveva provato a rivendere i suoi due biglietti, online prima e poi dopo, che dalle 1930 era li davanti al teatro a provarci. Ma niente da fare. Fossati o lo ami o lo odii, e chi lo ama un suo concerto lo prenota prima, molto prima. E così eccola regalare, perso per perso, le sue due terze file a me e Giulia.

E allora terza fila: mia figlia seduta vicino a Michela e le sue amiche, io accanto ad una bellissima ragazza armena, a Torino da dieci anni, sola anche lei. Ho regalato il biglietto al mio ex compagno, genovese che adora Fossati (ma tutti i genovesi adorano Fossati) un regalo di addio per una bellissima storia d’amore, ma non è venuto, aveva un impegno a Viareggio. E così, eccola a guardarsi Ivano accanto a me.

 

 

 

Ivano così vicino che ogni tanto incontravo i suoi occhi. Però..come può mettermi in scaletta Buontempo piuttosto che La pianta del thè? Lo salvo per il ritorno di Guido Guglielminetti, grandissimo bassista torinese, co-produttore di Ventilazione, dal quale mia figlia era molto affascinata e per L’uomo coi capelli da ragazzo, presentata come una riuscita canzone piena d’amore dove l’amore non viene mai nominato. Condivido, Ivano, condivido. E sono felice di essere riuscita a trascinare Giulia al concerto e sono anche felice nell’immaginarla quando racconterà agli amici cosa l’ho costretta, con ricatti emotivi, di ogni genere, a fare. Giulia che alla fine mi ha chiesto se le mettevo nell’emmepitre qualche suo pezzo.

 

 

 

Qui è il tempo che sta seduto a mettere i numeri in colonna. Non per tracciare una rotta che non si può dare a una via, quando a un acuto dolore segue una più acuta fantasia

 

 

 

 

 

Non si potevano scattare foto, ma..

[b. ho fatto del mio meglio e nel mio meglio ho scelto il meglio]

 

 

 

 

 

 

 

 

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Storie

Però non mi confondere con niente e con nessuno e vedrai
niente e nessuno ti confonderà
 
La storia che la notte scorsa mi sono portata a casa, come diciamo noi in gergo, e che mi impediva di dormire, è quella di madre e figlia che da un anno dormono sui treni. Conoscono tutti e tutti gli orari delle partenze e degli arrivi. La notte scorsa erano sul vagone del binario 18, le cercavamo e un’associazione di volontari è venuta a segnalarci che le aveva avvistate. Con il mio thé caldo e biscotti, in mezzo agli addetti delle pulizie che andavano e venivano salutandoci come fossimo normali passeggeri, provavo a farci due chiacchiere, discretamente, per capire come poterle aiutare. In gergo l’agganciamento. Una storia come tante, un po’ da Femminismo a Sud, molto da bestemmie. Emigrati nei settanta da Napoli a Torino, lui un marito violento, lei, lavoro e due figlie. Stanca di subire se ne va con le ragazze, e lascia la casa al marito che se la gioca d’azzardo. Credo non gliene fregasse niente della casa. L’importante era aver trovato il coraggio di fuggire dall’incubo. A Napoli c’è ancora sua madre, con una situazione economica che non le permette di aiutarla. Per ora ospita una delle figlie, che sente le voci e parla da sola. L’altra ha 32 anni, qualche anno fa era insegnante e la notte scorsa già dormiva, seduta come quando si viaggia in treno, le gambe accavallate e la testa appoggiata sulla spalla della madre. Da alcuni mesi non sta bene. E’ piena di fobie, non parla con chi indossa giubbotti con scritte, non stringe la mano a nessuno, si sente soffocare in ambienti chiusi, si lava per ore e non riesce a stare con altra gente che non sia la madre. E da un anno a questa parte la sua casa è la stazione, il suo bagno è quello pubblico a pagamento, il suo letto è il sedile del treno. Si trova a suo agio. C’è tanta gente ma è come se non ci fosse nessuno, dice la madre, sono tutti distanti. Il dormitorio è quindi abbastanza improponibile, ci hanno provato una notte, la settimana scorsa, ma non sono tornate, la figlia non ce la fa e la mamma asseconda la figlia. Vorremmo una casa nostra, per stare insieme tutte e tre. Sessantuno anni, una dignità di quelle che ti regala la sofferenza vera, tanta forza ma poche energie, voglia di sfogarsi e raccontarsi.
Ieri pomeriggio sono stata dall’assistente sociale, e dopo aver aspettato ore mi ha detto che ero nel posto sbagliato perché oramai ho passato i sessanta. Mia figlia che mi aspettava qui, è andata in depressione. Credeva di ricevere buone notizie, ma ancora una volta un niente di fatto. Loro sono col sedere al caldo, ti fanno rimbalzare da un ufficio all’altro. Beve un sorso di thé e rimaniamo che passeremo a trovarla la sera dopo. Possiamo aiutarla a muoversi in quella giungla che è la burocrazia, che qualche diritto a qualche sussidio dovrebbe averlo. Dormire in un dormitorio invece che sul treno, ti rende meno trasparente e da lì si può cominciare a fare qualcosa. Invece che possiamo fare? chiedo al mio collega intanto che rientriamo. Se non le agganciamo noi, segnaleremo il caso all’educativa territoriale.
 
Ieri notte pioveva. Già prima di entrare in struttura, alle otto della sera, avevo abbassato gli occhi a terra, nel vedere chi già avevo visto alle due del pomeriggio, seduto nella stessa posizione, nella stessa panchina, della stessa pensilina del bus. Sapevo che difficilmente c’era un posto libero per lui, da assegnargli entro le dieci. In serata arriva uno dei nostri ospiti (o utenti, come si preferisce) che ha il posto letto per un mese. Non si sente bene, ha problemi di cuore e sente un forte dolore al petto. Lo sostengo e lo faccio sedere intanto che il collega chiama il 118. Gli tocco la fronte, è fredda ed è sudato. Lui è una di quelle persone così discrete che quasi non ti accorgi che ci sono, di quelli che vengono sempre dopo gli altri perché non pestano i piedi per farsi sentire. Ha la mia stessa età, 42 anni, ma sembra mio padre. Gli dico se gli serve che gli prepari la borsa per un eventuale ricovero in ospedale. Non ha pigiami. Un paio di giorni fa avevo riordinato il magazzino dove teniamo gli indumenti da distribuire, quelli che la gente per bene cattolica e altruista ci regala, e so che per puro caso ci sono dei pigiami disponibili. Ne scelgo due, i migliori. E nel farlo sento anche io un dolore dentro, per lui, per me, per lui che è così solo in questo momento e io ci scelgo i pigiami. Non so descrivere bene quello che ho sentito. Poi torno da lui, e il suo viso è rigato di lacrime silenziose. Non dico niente, mi sembra che la mia presenza possa violare quel suo momento intimo, mi allontano per raggiungere un minuto il bagno. Il tempo di far scendere le mie, di lacrime. 
 

Bene
se mi dici che ci trovi anche dei fiori in questa storia
sono tuoi
ma è inutile cercarmi sotto il tavolo
ormai non ci sto più
Ho preso qualche treno, qualche nave,
qualche sogno, qualche tempo fa

 
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