Dudadudadidattuda*

Saluto kitestramuort e il suo amico inglese curioso di "PourLesAnal" (io so…)      ๐Ÿ˜‰

Sono un po’ di sere che qui al paesello mi faccio raccontare da mia madre di suo padre, mio nonno, che io non ho mai conosciuto perché è morto quando io avevo tre mesi. Si è impiccato in ospedale, era malato di cancro, sapeva di dover morire e sosteneva di essere oramai solo cavia dei medici. 

E quando mia madre racconta, di lui e non solo, mi spancio letteralmente dalle risate. La famiglia di mia madre era poverissima, ma come tutti allora, il periodo è quello del fascismo prima della guerra, mio nonno era lattoniere-idraulico. Quando passo in bicicletta per il vecchio paese dove vivevano/vivevamo (che non è questo dove sono ora), nelle nostre montagne piemontesi ad alta Resistenza Partigiana, quelle di Cesare Pavese, di Beppe Fenoglio, e quelle del pinerolese, Pinerolo (dove tra l’altro arrestarono anche Curcio e Franceschini, la nota storia di Frate Mitra, etc etc, poi dai ricordiamo anche gli Africa United ๐Ÿ™‚ ), ogni tanto qualche vecchietto mi ferma e mi ricorda le vicende di mio nonno. Niente di straordinario, ma dicono fosse siNpaticissimo, il classico personaggio. Socialista sfegatato, ci piaceva Matteotti (i comunisti, tutti scemi, manco esistevano ancora), si faceva spesso un paio di giorni di galera per casini e comizi con Compagni di merende. 

Però poi faceva anche robe tipo sedersi davanti all’amministrazione comunale e aspettare per ore i democristiani al governo, dopo la guerra, con uno scolapasta in testa (si, si, proprio quello coi buchi), un orologio e una tazza in mano tenuta alta, in silenzio, immobile. E quando questi gli chiedevano spiegazioni, alzava l’orologio, abbassava la tazzina e diceva in piemontese "Ale’ ura chi basi le tase". Significa "E’ ora che abbassiate le tasse". Tazze in piemontese si dice uguale a tasse. Mia madre si vergognava come un cane, invece io rido come una pazza quando me lo racconta. 

Anche mia madre, mi dicono, quando era giovane ragazza, era terribile. Me lo racconta seNpre la signora del chiosco delle angurie, quando mi fermo a sbafarne una fetta. E ride. Mia madre invece mi dice sempre che lei la sua gioventù se l’è goduta, che non avevano i soldi per mangiare, ma sapevano ridere con niente, e non cambierebbe mai i suoi anni con i nostri. E, si sa, il passato è sempre meglio del presente, la nostalgia fa brutti scherzi, ma io la invidio e avrei voluto vivere allora, invece dei fottuti ’80 con gli Spandau Ballet e i Duran Duran (a morte). Erano quattro figli, due fratelli e due sorelle, mia madre era la terza, minore di sette anni rispetto alla sorella (anche mia sorella ha sette anni in meno di me, la storia si ripete). Mia zia, che dicono fosse molto bella, aveva iniziato a lavorare e con i risparmi si coNprava sempre dei vestiti all’ultima moda, che mia madre, in seguito con gli anni, di nascosto le avrebbe rubato per indossarli quando lei non la vedeva. Ci imbastiva l’orlo, perché le stavano lunghi, poi puntualmente si dimenticava di scucirlo e mia zia la beccava e giù legnate. Una volta, la zia era in paese, a chiacchierare con un tipo di cui pare fosse perdutamente innamorata. Lui era un ragazzo distinto, educato, di famiglia agiata, niente a che vedere con quella disastrata e poverissima di mia madre. La zia era li che se la tirava col vestito tutto nuovo. Al che mia madre, che avrà avuto dieci anni circa, apposta, le corre incontro, tutta sporca e malvestita e le urla "Amaliaaaa (si chiama proprio così), Amaliaaa, svelta corri a casa, che abbiamo mezzo caco da mangiare!" Niente, io mi spancio ogni volta dalle risate quando sento questa storia. Ovviamente botte da orbi una volta che la zia era rientrata a casa.

La nonna materna la ricordo poco. E’ morta quando io avevo sette anni (e mia sorella aveva tre mesi, la storia si ripete). Ricordo solo che con mio fratello e i miei cugini si giocava agli indiani, mentre lei dormiva stesa sul lettone. Il gioco aveva ovviamente un nome indiano, si chiamava Uo-Uoka: indossavamo le piume da indiano, poi dovevamo strisciare a terra in silenzio, raggiungere il letto, toccare le chiappe a mia nonna che spuntavano dal vestito rialzato senza svegliarla, e poi scivolare a nasconderci sotto il letto. Tutto in silenzio, da bravi indiani. Un tormentone. Ho ancora qui davanti agli occhi l’immagine delle sue cosce, piene di vene. E poi, quando è morta, ricordo il suo dito medio, che era rialzato rispetto agli altri, io glielo spingevo giù per rimetterlo a posto, ma lui tornava a rialzarsi. Altro non ricordo. 

Pochi capivano il jazz
troppe cravatte sbagliate
ragazzi scimmia del jazz
così eravamo noi, così eravamo noi

*non sapevo che titolo mettere, vaffanculo ai titoli

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