Storie

Però non mi confondere con niente e con nessuno e vedrai
niente e nessuno ti confonderà
 
La storia che la notte scorsa mi sono portata a casa, come diciamo noi in gergo, e che mi impediva di dormire, è quella di madre e figlia che da un anno dormono sui treni. Conoscono tutti e tutti gli orari delle partenze e degli arrivi. La notte scorsa erano sul vagone del binario 18, le cercavamo e un’associazione di volontari è venuta a segnalarci che le aveva avvistate. Con il mio thé caldo e biscotti, in mezzo agli addetti delle pulizie che andavano e venivano salutandoci come fossimo normali passeggeri, provavo a farci due chiacchiere, discretamente, per capire come poterle aiutare. In gergo l’agganciamento. Una storia come tante, un po’ da Femminismo a Sud, molto da bestemmie. Emigrati nei settanta da Napoli a Torino, lui un marito violento, lei, lavoro e due figlie. Stanca di subire se ne va con le ragazze, e lascia la casa al marito che se la gioca d’azzardo. Credo non gliene fregasse niente della casa. L’importante era aver trovato il coraggio di fuggire dall’incubo. A Napoli c’è ancora sua madre, con una situazione economica che non le permette di aiutarla. Per ora ospita una delle figlie, che sente le voci e parla da sola. L’altra ha 32 anni, qualche anno fa era insegnante e la notte scorsa già dormiva, seduta come quando si viaggia in treno, le gambe accavallate e la testa appoggiata sulla spalla della madre. Da alcuni mesi non sta bene. E’ piena di fobie, non parla con chi indossa giubbotti con scritte, non stringe la mano a nessuno, si sente soffocare in ambienti chiusi, si lava per ore e non riesce a stare con altra gente che non sia la madre. E da un anno a questa parte la sua casa è la stazione, il suo bagno è quello pubblico a pagamento, il suo letto è il sedile del treno. Si trova a suo agio. C’è tanta gente ma è come se non ci fosse nessuno, dice la madre, sono tutti distanti. Il dormitorio è quindi abbastanza improponibile, ci hanno provato una notte, la settimana scorsa, ma non sono tornate, la figlia non ce la fa e la mamma asseconda la figlia. Vorremmo una casa nostra, per stare insieme tutte e tre. Sessantuno anni, una dignità di quelle che ti regala la sofferenza vera, tanta forza ma poche energie, voglia di sfogarsi e raccontarsi.
Ieri pomeriggio sono stata dall’assistente sociale, e dopo aver aspettato ore mi ha detto che ero nel posto sbagliato perché oramai ho passato i sessanta. Mia figlia che mi aspettava qui, è andata in depressione. Credeva di ricevere buone notizie, ma ancora una volta un niente di fatto. Loro sono col sedere al caldo, ti fanno rimbalzare da un ufficio all’altro. Beve un sorso di thé e rimaniamo che passeremo a trovarla la sera dopo. Possiamo aiutarla a muoversi in quella giungla che è la burocrazia, che qualche diritto a qualche sussidio dovrebbe averlo. Dormire in un dormitorio invece che sul treno, ti rende meno trasparente e da lì si può cominciare a fare qualcosa. Invece che possiamo fare? chiedo al mio collega intanto che rientriamo. Se non le agganciamo noi, segnaleremo il caso all’educativa territoriale.
 
Ieri notte pioveva. Già prima di entrare in struttura, alle otto della sera, avevo abbassato gli occhi a terra, nel vedere chi già avevo visto alle due del pomeriggio, seduto nella stessa posizione, nella stessa panchina, della stessa pensilina del bus. Sapevo che difficilmente c’era un posto libero per lui, da assegnargli entro le dieci. In serata arriva uno dei nostri ospiti (o utenti, come si preferisce) che ha il posto letto per un mese. Non si sente bene, ha problemi di cuore e sente un forte dolore al petto. Lo sostengo e lo faccio sedere intanto che il collega chiama il 118. Gli tocco la fronte, è fredda ed è sudato. Lui è una di quelle persone così discrete che quasi non ti accorgi che ci sono, di quelli che vengono sempre dopo gli altri perché non pestano i piedi per farsi sentire. Ha la mia stessa età, 42 anni, ma sembra mio padre. Gli dico se gli serve che gli prepari la borsa per un eventuale ricovero in ospedale. Non ha pigiami. Un paio di giorni fa avevo riordinato il magazzino dove teniamo gli indumenti da distribuire, quelli che la gente per bene cattolica e altruista ci regala, e so che per puro caso ci sono dei pigiami disponibili. Ne scelgo due, i migliori. E nel farlo sento anche io un dolore dentro, per lui, per me, per lui che è così solo in questo momento e io ci scelgo i pigiami. Non so descrivere bene quello che ho sentito. Poi torno da lui, e il suo viso è rigato di lacrime silenziose. Non dico niente, mi sembra che la mia presenza possa violare quel suo momento intimo, mi allontano per raggiungere un minuto il bagno. Il tempo di far scendere le mie, di lacrime. 
 

Bene
se mi dici che ci trovi anche dei fiori in questa storia
sono tuoi
ma è inutile cercarmi sotto il tavolo
ormai non ci sto più
Ho preso qualche treno, qualche nave,
qualche sogno, qualche tempo fa

 
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7 Responses to Storie

  1. tro says:

    non vergognarsi della propria malinconia
    è un compito penoso, anzi uno strazio
    MA: (E SENZ’ALTRO)
    sarà la vita che monta e poi riscende
    luce elettrica che dopo il buio sempre si accende

    Un grazie e un abbraccio a tutti, per le vostre bellissime parole, come sempre

  2. fikasicula says:

    che storie cara tro. davvero.
    sei un’ottima collezionista/narratrice di storie. bisogna fare una scrittura comune…
    tu da nord e io da sud.
    ti abbraccio

  3. ric says:

    capisco benissimo cosa significa “portarsi a casa” delle storie così pesanti ma purtroppo vere. capisco la difficoltà a trattenere le lacrime in queste situazioni, le ho provate sulla mia pelle.spesso mi sono sentita dire di essere coraggiosa nel fare un lavoro dove si è a contatto con la disperazione degli umani.pensandoci bene, mi sono sentita pure io disperata tra i disperati, ma il fatto di essere utile a chi ne ha più bisogno,è una sensazione che non si può spiegare a parole.ti auguro tanta sernità .in bocca al lupo.

  4. cla says:

    ricordati di essere sempre orgogliosa di quello che fai, anche quando non ce la fai più. un abbraccio.

  5. Loko says:

    Tu servi a qualcosa di importante.
    Cosa posso aggiungere ?

  6. manco says:

    Coraggio Mari…sei grande…non so che altro dire…

  7. novus says:

    Dio bo’… che lavoretto tranquillo che ti sei trovata!
    Però lo stimo tanto, perché è uno dei pochi lavori al mondo che ha un senso al di là del denaro. Anzi immagino che di denari se ne vedano pochi, quindi il suo valore aumenta ancor di più!

    un grande abbraccio

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